Una volta finito il Symposium io e Simone siamo tornati da Valter a Curitiba e con lui abbiamo organizzato una "piccola escursione" che ci ha permesso di fare una delle esperienze più indimenticabili della nostra vita.
Siamo partiti da Curitiba e raggiunto San Paolo abbiamo preso un pullman per arrivare a Guaraqueçaba, come al solito in non poche ore, anche se stavolta a determinare il tempo di percorrenza non è stata tanto la distanza quanto la strada! Km di mulattiera in mezzo a fitta vegetazione e a pochi piccoli villaggi, fino a questa cittadina affacciata sulla laguna da cui poi l'indomani mattina siamo partiti per la nostra avventura.
Per dormire ci siamo spacciati per due ricercatori italiani accompagnati da un rappresentante della Universidade Federal do Paranà e, senza troppa difficoltà, siamo stati ospitati nel Centro di Ricerca del parco del Superaguì.
La sera stessa abbiamo cercato qualcuno che ci potesse accompagnare sulla penisola di fronte e abbiamo trovato un simpaticissimo pescatore che oltre ad essere molto sorridente, si è dimostrato anche molto preparato sulla storia della riserva.
La sera stessa abbiamo cercato qualcuno che ci potesse accompagnare sulla penisola di fronte e abbiamo trovato un simpaticissimo pescatore che oltre ad essere molto sorridente, si è dimostrato anche molto preparato sulla storia della riserva.
All'alba del giorno dopo ci siamo messi subito in moto e con la sua piccola barcha abbiamo attraversato quella magica laguna di cui ho un'immagine indelebile che per sempre porterò davanti agli occhi. 45 minuti immersi in un paradiso con isole fatte di mangrovie ritte sulle loro radici, uccelli di tutti i colori e delfini che per tutto il tempo hanno seguito il nostro tragitto in più, un vento ed una leggerissima pioggia che ha reso l'atmosfera ancora più sublime.
Una volta arrivati sulla terra ferma ci siamo preparati per iniziare il cammino, dovevamo raggiungere Ariri, piccolo villaggio a 40 km dal punto in cui ci aveva lasciato il pescatore.
Una volta arrivati sulla terra ferma ci siamo preparati per iniziare il cammino, dovevamo raggiungere Ariri, piccolo villaggio a 40 km dal punto in cui ci aveva lasciato il pescatore.
Simone ed io avevamo nei nostri zaini tutto il bagaglio di un mese, per lui 30 e per me 25 kg ma senza dubbi e con una buona dose di incoscienza ci siamo avviati verso la meta.
Valter non mi conosceva affatto e non sapeva se avrei retto tanta fatica e soprattutto tanto "non sapere dove stiamo andando", comunque da impavidi abbiamo iniziato a camminare.
Presa la trilha (sentiero) abbiamo attraversato l'isola e siamo arrivati verso mezzogiorno al cospetto dell'Oceano Atlantico. Simone ficou doido, da buon ragazzo del Monte Amiata e non avendo mai visto l'oceano, preso dall'entusiasmo, nonostante non sapesse nuotare, si è buttato in acqua vestito solo della sua folta e naturale pelliccia. Senza far passare troppo tempo io Valter abbiamo fatto lo stesso.
Presa la trilha (sentiero) abbiamo attraversato l'isola e siamo arrivati verso mezzogiorno al cospetto dell'Oceano Atlantico. Simone ficou doido, da buon ragazzo del Monte Amiata e non avendo mai visto l'oceano, preso dall'entusiasmo, nonostante non sapesse nuotare, si è buttato in acqua vestito solo della sua folta e naturale pelliccia. Senza far passare troppo tempo io Valter abbiamo fatto lo stesso.
Ci rivestiamo e via di nuovo un passo dopo l'altro a macinare km. Gli zaini erano mano a mano sempre più pesanti e l'unico vantaggio era che il vento tirava in direzione a noi favorevole.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa vicino una capanna isolata, probabilmente di proprietà di un pescatore e ogni morso al panino era accompagnato da "lo prendiamo, non lo prendiamo, non possiamo prenderlo, chissà cosa avrà dovuto fare quest'uomo per costruire questo carretto".
Alla fine il "lo prendiamo" ha vinto su tutto e per aiutarci abbiamo preso in prestito il carretto costruito interamente con materiale da riciclo, con l'intenzione di restituirlo una volta arrivati al villaggio Ariri.
Senza l'aiuto di quelle due ruote non saremmo riusciti a sopportare molto a lungo il peso degli zaini anche perchè la pioggia continuava a cadere e ad appesantire la nostra zavorra.
Quella che stavamo attraversando era una praia deserta ma la percezione di vita era molto elevata. A metà del tragitto, davanti ai nostri occhi, come un miraggio, un cavallo, immobile tra i cespugli, ci guardava. Sembrava essere un paradosso eppure era vero, dopo il carretto anche il cavallo. Valter con delle cime ed una camicia riesce ad arrangiare una capezza e con l'aiuto di una delle nostre preziosissime mele prendiamo quello che sembrava assomigliare piuttosto ad un mulo. Mentre ci accingiamo a legarlo al carro, in lontananza appare un uomo che con fare piuttosto tranquillo si avvicina con la sua bicicletta. Una volta raggiuntici non dice una parola ma porta con se un macete per niente rassicurante. Lunghi attimi di silenzio vengono rotti dalla sua domanda: "aonde è que voces vao com o meu cavalo" . Con grande savoir faire Valter gli spiega, mentendo spudoratamente, che io mi sono fatta male e che trovandoci in grande difficoltà vogliamo solo farci aiutare dal suo amorevole animale. Ci sorride e ci chiede gentilmente di lasciarlo.
Riprendiamo il nostro viaggio dicendo che in fondo ci è andata bene e che prima che arrivi anche il proprietario del carretto è meglio sbrigarsi .
Riprendiamo il nostro viaggio dicendo che in fondo ci è andata bene e che prima che arrivi anche il proprietario del carretto è meglio sbrigarsi .
Le ultime parole famose... non molto tempo dopo eccoli tutti e due con le loro biciclette, quello del cavallo era andato a chiamare quello del carretto.
Non un solo momento il sorriso ha lasciato i loro visi, nonostante gli fossimo andati a rubare in casa hanno dialogato pacificamente, anzi hanno chiesto scusa a noi perchè ci hanno tolto quello che sembrava esserci indispensabile. Gli abbiamo lasciato dei soldi per il disturbo e siamo andati avanti.
Il panorama era più o meno sempre lo stesso ma la vera costante era costituita dagli avvoltoi che mai hanno smesso di volteggiarci sulla testa. Aspettavano che ci venisse un colpo, non vedevano l'ora di mangiarci!
Sulla spiaggia oltre alle bellissime conchiglie abbiamo trovato molti corpi di animali, addirittura quello di un pinguino. Ogni tanto una capanna con qualche anima ma per lo più era solo sabbia e mare, mare e sabbia.
Di fronte a noi sempre più minaccioso un temporale si stava avvicinando mentre il sole cominciava a scomparire. Ormai era tardi e di Ariri neanche l'ombra.
Si poteva piantare la tenda per ripartire il giorno dopo ma tra il vento e la pioggia la decisione di andare avanti era l'unica possibile.
Ormai nel buio pesto e ignari della distanza che ci divideva dal villaggio continuavamo a camminare. La marea si stava alzando e il lembo di spiaggia su cui camminavamo era sempre più piccolo. L'ultimo tratto lo abbiamo percorso attaccati alle mangrovie con i piedi immersi nell'acqua e la paura di affogare portati via dalla forza dell'oceano.
Due occhi sono stati il mio sollievo. La lampada che avevo sulla testa ha illuminato gli occhi di un gatto e subito dopo il viso di un uomo. Finalmente, alle 9 e 30 di sera abbiamo raggiunto Ariri.
Con grande ospitalità siamo stai accolti in questo villaggio fatto di poche capanne, sentieri e piccoli pannelli solari, unica fonte energetica disponibile.
Gli abitanti ci offrono una doccia e un preziosissimo tetto che altro non è che la capanna in cui fanno le feste la domenica e dove ci siamo buttati a dormire, esausti, per terra.
Persone estremamente semplici che vivono di pesca e poco altro, una piccola comunità in cui alcuni non sanno neanche cosa sia Rio de Janeiro.
La mattina dopo il rischio di restare bloccati ad Ariri è alto, il maltempo ci perseguita ma riusciamo a convincere un pescatore a portarci con la sua barca sull'isola del Cardoso.
Arrivati a terra ricominciamo a camminare. Dopo i 40 Km del giorno prima le nostre gambe implorano riposo ma non possiamo fermarci.
Si va avanti a piedi nudi, i nostri scarponi sono zuppi d'acqua, tanto che ad un certo punto decido di abbandonare i miei davanti ad una delle baracche che incontriamo; non solo quelli però, tra medicine, asciugamani e vestiti, sono arrivata a destinazione con 10 kg in meno.
Stesso identico panorama e vento e pioggia e mai la fine. Qualche piccola costruzione in legno mi fa sperare che stiamo per raggiungere la nostra meta ma è sempre un falso allarme.
Simone e Valter hanno il passo un pò più lungo del mio e spesso resto indietro. Quando decidono di fare una deviazione verso l'interno nella speranza di incontrare qualcuno a cui chiedere un'indicazione, io vado avanti per recuperare la distanza e, superato il punto in cui hanno girato, mi allontano di alcuni m. Mi fermo e cerco di riposare un pò riparandomi dietro alcuni cespugli. E' stato un momento direi cinematografico: io seduta con la telecamera puntata davanti che commento il nostro viaggio dicendo che non arriveremo mai a destinazione e che non ce la faccio più e che tutti quegli avvoltoi mi stanno inquietando. Segni evidenti di una crisi di nervi. Dopo poco la voce di Valter che mi dice di tornare indietro, rompe il mio delirio, ha trovato il punto di attraversamento dell'isola, il sentiero che ci avrebbe condotto a destinazione.Il grande sollievo che ho provato mi ha anche dato al forza di alzarmi e di camminare e finalmente dopo qualche ora eccoci a Cardoso dove addirittura abbiamo trovato un ristorante. Ci prendiamo il meritato riposo, ci sediamo a tavola e mangiamo come tre turisti, contrattando un pasto per 8 reali. Ci siamo asciugati per quanto possibile e siamo ripartiti in barca per raggiungere Cananeia da dove prendere il pullman per San Paolo.
In totale 60 km percorsi sulla sabbia, sotto vento e pioggia, solo un giorno e mezzo di cammino ma un viaggio talmente intenso che ancora oggi mi sembra sia durato una settimana.
Quello che ti resta sicuramente dentro è la sensazione di aver vinto una sfida; non sapevamo dove stavamo andando (almeno per me e Simone era così) ne quanti km avremmo dovuto fare, avevamo con noi solo un pò di pane, 4 litri di acqua, degli schifosissimi wurstel e una fantastica poltiglia di arachidi tritati e zucchero di canna, eppure siamo andati e senza porci troppi interrogativi abbiamo messo un piede davanti l'altro senza mai guardarci indietro.
Lo rifarei 100 volte e così, alla stessa maniera senza cambiare neanche una virgola!
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